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L'artigianalità della cucina è rimasta immutata

L'artigianalità della cucina è rimasta immutata

Mani al lavoro per riparare e far tornare funzionale una vecchia sedia, quanto sia vecchia lo si vede dal legno e si vede però anche la sua immutata funzionalità.

Chi usa le mani è una persona di lunga esperienza e anche questo dalla foto è evidente, sa come fare tecnicamente, ma soprattutto sa dell’amore che lo avvolge quando intreccia da un angolo all’altro la corda vegetale, capisce come la sua anima incontra l’anima della sedia e dialoga in sintonia meditativa.

È un immagine esemplare e volutamente fuori da qualsiasi riferimento alimentare per portare a fuoco elementi comuni a tutti i lavori artigianali, quelli fatti ancora con le mani, con il pensiero, la passione-amore che persuade l’anima, l’immaginazione costruttiva, i sogni inconsci che si fanno realtà.
Quanto ha bisogno la moderna cucina di tutti questi elementi “antichi”?
Moltissimo a mio parere e credo anche che l’errore sia pensare che la cucina sia arte, mentre è più probabile che sia splendido artigianato, semmai è la valenza “poco riconoscente” di oggi data al termine artigianato a essere del tutto immeritata.

Eppure l’artigianalità della cucina è rimasta immutata, per fortuna.
Oggi possiamo contare su efficienti macchine tecnologiche che abbattano tempi e costi, godiamo del supporto del sapere scientifico e chimico che ci spiega e mette in guardia da reazioni e interazioni alimentari, seguiamo protocolli di autocontrollo e in apparenza dominiamo in chiave moderna ogni passaggio del lavoro in cucina.
Ma non ostante questo una medesima ricetta ha sempre risultati diversi e cambia la sua anima organolettica in base alle mani che l’hanno “imbastita”.
È una questione di interpretazione e capacità, in semplici parole di artigianalità e di come le mani comandate dalla menta, dal cuore e dall’anima hanno saputo muoversi e dialogare con il cibo.

Un dialogo intenso, basilare, importante che spesso si cerca di evitare, alla passione si sostituisce la routine alienante e anche il cibo diventa un oggetto come tanti.
Di conseguenza anche la ricetta diventa un anonima cartolina spedita agli altri senza passione e amore, giusto per il dovere di farlo.
La volontà di evitare il dialogo con il cibo da parte di chi dovrebbe al contrario essere l’interprete migliore si manifesta da tanti episodi pratici, ad esempio si arriva a indossare ossessivamente i guanti anche quando non ce ne sarebbe bisogno come a marcare la volontà di non voler dialogare con l’amico alimento, di non toccarlo, di non sentire la sua potente forza espressiva.

Questo spiega anche il perché facendo bene i conti non è così facile mangiare bene nelle diverse tipologie ristorative che si incontrano e che il mercato offre e come in parallelo, invece, sia molto più facile mangiare bene nel desco famigliare di chi ci invita nella propria casa.
Nel primo caso l’artigianalità del mestiere di cucina è scomparsa nascosta da paraventi di diversa natura che partono dalla convinzione che tanto l’altro, il cliente, non capisce nulla fino ad arrivare al fumo scenografico e coreografico di tanti locali stellati o meno.
Nel secondo caso l’artigianalità è “pulsante cosa viva”, c’è passione, amore, desiderio di donare, gioia immensa nel dialogare con il cibo, la cottura, i profumi, le combinazioni e le scoperte.
Cose che la cucina moderna ha urgente bisogno di riprendere in mano.

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