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Tutti dicono maremma maremma

Tutti dicono maremma maremma

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Un libro curato da Luigi Caricato

Un’antologia che offre uno spaccato di una società contadina e le rende la dignità meritata attraverso una serie di racconti scritti da una ventina di autori di diverso stile narrativo.

Il libro è molto interessante anche per chi non frequenta questi luoghi, i racconti possono più o meno piacere ma sono tutti fluidi e di piacevole lettura, diversi di loro hanno la capacità di ispirare piatti, nel senso che leggendoli si immagina quali piatti e ricette si potrebbero abbinare prendendo spunto dai “contenuti alimentari” spesso presenti.
Se ne avete l’occasione procuratevi il libro e gustatene almeno le pagine.

Ecco un breve passaggio dell’introduzione al libro:

Lo confesso, ho sempre avuto un grande desiderio: far sorridere i contadini. Non che questi siano tendenzialmente malinconici e depressi, tutt’altro. Nel loro ambiente vivono una condizione di quasi assoluto stato di grazia. Hanno volti duri, solcati dal sole e dalla fatica, ma conservano intatto uno sguardo serafico che sa trasmettere serenità e purezza.
Nelle campagne in cui quotidianamente operano senza sosta – dall’alba fino al tramonto, e anche di domenica – gli agricoltori esprimono una perfetta aderenza con il paesaggio di cui si sentono parte integrante e nello stesso tempo custodi. Eppure, nonostante ciò, a osservarli da vicino, e a sentirli parlare in piena libertà, sembra mancare loro qualcosa.

A osservarli con attenzione, si nota un certo disagio, quasi un senso di insofferenza verso un mondo esterno che sottrae loro respiro e vita. La città invade i campi prima con strade larghe e superveloci, poi con un’edilizia selvaggia che divora le terre più fertili. Si sottraggono superfici coltivabili e tutto ciò li rende simili a prigionieri accerchiati e senza scampo.
Chi li conosce e li frequenta, sa bene che gli agricoltori vivono con grande senso di prostrazione e avvilimento la progressiva invasione del mondo urbano, ma lamentano nel contempo un effettivo isolamento sociale, culturale ed economico. Si sentono soli e abbandonati, perché nessuno vuole più ascoltarli e prenderli in seria considerazione.
Neanche i grandi giornali riservano spazi di cronaca e approfondimento, se non in maniera occasionale e comunque mai soddisfacente. Figurarsi la tivù, e forse è anche un bene. Nessuno che si voglia occupare delle loro problematiche, allo stesso modo di quanto avviene con altre professioni. Nessuno che ne rispetti l’identità e le esigenze, nemmeno gli uomini di cultura, giacché il mondo agricolo – luoghi comuni e tendenze neobucoliche a parte – nei fatti non piace, se non a pochi.
Può senza dubbio piacere la campagna, per la bellezza del paesaggio, ma non la campagna in quanto tale, con l’ininterrotto lavoro che essa implica e con gli uomini apparentemente rudi che ogni giorno la vivono sulla propria pelle. I figli dei contadini fuggono la campagna e arrivano in sostituzione gli stranieri, i nullatenenti, percorrendo la medesima via crucis; ma via via che ascenderanno anche loro nella scala sociale, e conseguito un titolo di studio e una base economica più solida, si dilegueranno, per dar spazio ad altri ultimi nullatenenti e con poche speranze. Ed ecco allora – per contrastare, almeno parzialmente, tale stato di isolamento culturale, e per evitare fughe a ripetizione – l’idea, certamente originale, di realizzare un’antologia di racconti inediti ispirati al mondo agricolo.”



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