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Il perdono, alimentazione e cucina: una medicina per il cuore

Il perdono, alimentazione e cucina: una medicina per il cuore

Il post di oggi parte da un articolo di carattere psicologico e che quindi sembrerebbe centrare poco con le dinamiche di cibo e cucina, ma vedrete che ci arriviamo a spiegare il collegamento.

Intanto vediamo di cosa tratta questa interessante ricerca realizzata da Britta Larsen del Department of Psichology dell’univesity of California di San Diego (Stati Uniti) insieme ai suoi collaboratori.

In poche parole ha messo in luce una semplice verità, ovvero che il perdono, degli altri e di se stessi, è una formidabile medicina naturale senza costi e spese che fa un gran bene al cuore, ai vasi sanguigni, alla pressione e probabilmente a molto altro.
Lo ha messo in luce, ovviamente, non come sua personale riflessione e convinzione ma dopo una meticolosa indagine scientifica che ha evidenziato come e attraverso quali meccanismi specifici si hanno gli effetti benefici.

La cosa interessante è che questo meccanismo del perdono non è funzionale solo per un lasso di tempo ristretto, ma si protrae a lungo nel tempo inducendo un cambiamento che si rivela una vera e propria arma di protezione e prevenzione rispetto alle problematiche cardiovascolari.
Anche perché il contrario, cioè continuare e rimuginare sull’evento meditando vendette, ritorsioni, rimorsi, pentimenti, genera un flusso di rabbia chiaramente associata a una maggiore probabilità di sviluppare disturbi cardiovascolari.

La ricerca dice molto di più, ma questa non è sede per temi così scientifici se volete approfondire potreste cominciare a vedere qui.
Immagino che in diversi potrebbero ironizzare sulla notizia e obbiettare diverse cose, io penso invece che nasconda una grande verità e non perché lo dice una religione, una filosofia, un ente, semplicemente perché si può provare con estrema facilità rendendosi conto del suo perfetto funzionamento.

Mi collego a questa notizia per una riflessione venuta fuori chiacchierando con alcuni lettori, un confronto che è veramente molto costruttivo e gratificante.
Nello specifico parlavo con Iaia sulle visioni e i pregiudizi alimentari e sul loro non avere confini ed essere presenti da ogni parte.
Nello specifico il tema era l’alimentazione senza prodotti di origine animali e tutto quello che può suscitare, ma anche il lato peggiore che alcuni di quelli che la seguono a volte tirano fuori!
Così raccontavo che:

...il punto è che i pregiudizi da una parte e dall'altra sono notevoli e spesso mi è capitato e mi capita il contrario, cioè persone vegane che sono fortemente ostili a tutti quelli che non consumano il cibo nella loro ottica... per dire come le ostilità pregiudiziali si trovano ovunque e sono tutte immotivate... Ha più senso puntare semplicemente sulla qualità e bontà della ricetta, su i suoi risvolti salutistici sempre notevoli, sulle caratteristiche energetiche e rinvigorenti, ecc dimostrando nei fatti con l'assaggio quanto si ha ragione a preparare determinate ricette...

Ma poi aggiungevo questo pensiero sui cui vorrei conoscere la vostra opinione e sui cui non posso portare con me ricerche scientifiche autorevoli, ma che mi sembra interessante condividere:

...La tolleranza sembra oggi un sentimento raro e forse per questo esistono così tante intolleranze al cibo; non scherzo in questo, bisognerebbe riflettere molto su come il lato psicologico e sociale della nostra vita è intensamente intrecciato con l'alimentazione e la salute...

Ecco mi pare che la ricerca di cui parlavo all’inizio per quanto affronti tutt’altro sia una conferma indiretta di questa affermazione e in generale mi sembra che il fulcro sia che cibarsi non è solamente un atto fisiologico di sopravvivenza, ma comporta in se un alto contenuto culturale e sociale.

In questo senso il ruolo di chi cucina, semplice appassionato o grande Chef, ha una responsabilità più grande di quello che si può pensare.
Ma anche un importanza grande, cosa che andrebbe evidenziata e riconosciuta.

Sempre se ben fatta!!

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